Αποκλειστική συνέντευξη στην εφημερίδα
La Stampa αποφάσισε να παραχωρήσει ο πάπας Φραγκίσκος με αναλυτική αναφορά στις
σχέσεις με την ορθοδοξία. «Τα Χριστούγεννα, την περίοδο αυτή γεμάτη συρράξεις,
είναι ένα κάλεσμα του Θεού, που μας προσφέρει το δώρο αυτό. Ο Θεός μας
περιμένει, δεν κουράζεται, μας περιμένει πάντα. Μας προσφέρει τον δώρο του και
στην συνέχεια αρχίζει να μας αναμένει», προσθέτει ο Αργεντινός ποντίφικας.
Ο Ποντίφικας, επιβεβαιώνει, επίσης, ότι
«ετοιμάζεται να επισκεφθεί τα Ιεροσόλυμα για να συναντήσει τον
"αδελφό" του, τον Οικουμενικό Πατριάρχη Βαρθολομαίο, και να τιμήσουν
τα πενήντα χρόνια από τον εναγκαλισμό του Οικουμενικού Πατριάρχη Αθηναγόρα με
τον Πάπα Παύλο τον ΣΤ, που είχε λάβει χώρα, στην πόλη αυτή, το 1964».
Ο πάπας Βεργκόλιο επανέρχεται στο μεγάλο
πρόβλημα της πείνας στον πλανήτη μας: «θέλω να πω σε όλους: δώστε να φάει σε
όποιον έχει ανάγκη. Αν εργασθούμε και συντονιστούμε με όλες τις ανθρωπιστικές
οργανώσεις, μπορούμε να δώσουμε μια μεγάλη συμβολή στο να ξεπεραστεί αυτή η
παγκόσμια τραγωδία», τονίζει ο Φραγκίσκος, όπως αναμεταδίδει το Αθηναϊκό
Πρακτορείο.
Ο Άγιος Πατέρας της Ρωμαιοκαθολικής
Εκκλησίας τονίζει, επίσης, ότι «η μαρξιστική ιδεολογία είναι λανθασμένη, αλλά
γνώρισε πολλούς μαρξιστές που ήταν καλοί άνθρωποι» και εξηγεί ότι οι όποιες
μέχρι τώρα αναφορές του, ήταν «στην κοινωνική διδαχή της Εκκλησίας» στο ότι
«υπήρχε η ελπίδα πως με την οικονομική ανάπτυξη, το ποτήρι θα γέμιζε και θα
μπορούσαν να ευνοηθούν και οι πιο φτωχοί. Στην πραγματικότητα, όμως, όταν
γεμίζει, το ποτήρι μεγαλώνει, αποκτά μεγαλύτερη διάσταση και για τους φτωχούς
δεν μένει τίποτα».
Ο πάπας, στην συνέντευξή του, τονίζει,
επίσης, ότι θέλει να αξιοποιήσει τις γυναίκες αλλά δεν θεωρεί ότι βαδίζουμε
προς γυναίκες-ιερείς ή πιο συγκεκριμένα καρδινάλιους, ενώ σε σχέση με τους
ορθόδοξους προσθέτει: «δέχθηκα, τους εννέα αυτούς μήνες, επισκέψεις πολλών
ορθόδοξων αδελφών: του Βαρθολομαίου, του Ιλαρίωνα, του μητροπολίτη Περγάμου
Ζηζιούλα, του κόπτη πατριάρχη της Αιγύπτου Τουάντρος. Τους δέχθηκα ως αδελφούς,
διαθέτουν την αποστολική διαδοχή".
Προκαλεί πόνο το ότι δεν μπορούμε,
ακόμη, να συλλειτουργήσουμε, αλλά η φιλία υπάρχει. Και νομίζω ότι ο δρόμος
είναι αυτός: φιλία, κοινή προσπάθεια και προσευχή υπέρ της ενότητας. Δώσαμε ό
ένας την ευχή του στον άλλον, ο ένας αδελφός δίνει την ευχή του στον άλλο
αδελφό. Ο ένας λέγεται Πέτρος και ο άλλος Ανδρέας, Μάρκος, Θωμάς».
Σημείωσις του Ιστολογίου: Θυμίζουμε πως για
πρώτη φορά έγινε η συνάντηση Πάπα Παύλου του ΣΤ΄ και Πατριάρχου Αθηναγόρα στο
Όρος των Ελαιών από 5 - 6 Ιανουαρίου 1964.
ΟΛΗ Η ΣΥΝΕΝΤΕΥΞΗ ΤΟΥ ΠΑΠΑ
ANDREA TORNIELLI (VATICAN INSIDER - 15/12/2013)
"Mai avere paura della tenerezza"
Intervista con papa Francesco su Natale, fame nel
mondo, sofferenza dei bambini, riforma della Curia, donne cardinale, Ior e
prossimo viaggio in Terra Santa
Il Natale per me è speranza e tenerezza...». Francesco
racconta a «La Stampa» il suo primo Natale da vescovo di Roma. Casa Santa
Marta, martedì 10 dicembre, ore 12.50. Il Papa ci accoglie in una sala accanto
al refettorio.
L'incontro durerà un'ora e mezza. Per due volte, durante il colloquio, dal
volto di Francesco sparisce la serenità che tutto il mondo ha imparato a
conoscere, quando accenna alla sofferenza innocente dei bambini e parla della
tragedia della fame nel mondo. Nell'intervista il Papa parla anche dei rapporti
con le altre confessioni cristiane e dell'«ecumenismo del sangue» che le unisce
nella persecuzione, accenna alle questioni del matrimonio e della famiglia che
saranno trattate dal prossimo Sinodo, risponde a chi lo ha criticato dagli Usa definendolo
«un marxista» e parla del rapporto tra Chiesa e politica.
Che cosa significa per lei il Natale?
«È l'incontro con Gesù. Dio ha sempre cercato il suo
popolo, lo ha condotto, lo ha custodito, ha promesso di essergli sempre vicino.
Nel Libro del Deuteronomio leggiamo che Dio cammina con noi, ci conduce per
mano come un papà fa con il figlio. Questo è bello. Il Natale è l'incontro di
Dio con il suo popolo. Ed è anche una consolazione, un mistero di consolazione.
Tante volte, dopo la messa di mezzanotte, ho passato qualche ora solo, incappella,
prima di celebrare la messa dell'aurora. Con questo sentimento di profonda
consolazione e pace. Ricordo una volta qui a Roma, credo fosse il Natale del
1974, una notte di preghiera dopo la messa nella residenza del Centro Astalli.
Per me il Natale è sempre stato questo: contemplare la visita di Dio al suo
popolo».
Che cosa dice il Natale all'uomo di oggi?
«Ci parla della tenerezza e della speranza. Dio
incontrandoci ci dice due cose. La prima è: abbiate speranza. Dio apre sempre
le porte, mai le chiude. È il papà che ci apre le porte. Secondo: non abbiate
paura della tenerezza. Quando i cristiani si dimenticano della speranza e della
tenerezza, diventano una Chiesa fredda, che non sa dove andare e si imbriglia
nelle ideologie, negli atteggiamenti mondani. Mentre la semplicità di Dio ti
dice: vai avanti, io sono un Padre che ti accarezza. Ho paura quando i
cristiani perdono la speranza e la capacità di abbracciare e accarezzare. Forse
per questo, guardando al futuro, parlo spesso dei bambini e degli anziani, cioè
dei più indifesi. Nella mia vita di prete, andando in parrocchia, ho sempre
cercato di trasmettere questa tenerezza soprattutto ai bambini e agli anziani.
Mi fa bene, e mi fa pensare alla tenerezza che Dio ha per noi».
Come si può credere che Dio, considerato
dalle religioni infinito e onnipotente, si faccia così piccolo?
«I Padri greci la chiamavano "synkatabasis",
condiscendenza divina. Dio che scende e sta con noi. È uno dei misteri di Dio.
A Betlemme, nel 2000, Giovanni Paolo II disse che Dio è diventato un bambino
totalmente dipendente dalle cure di un papà e di una mamma. Per questo il
Natale ci dà tanta gioia. Non ci sentiamo più soli, Dio è sceso per stare con
noi. Gesù si è fatto uno di noi e per noi ha patito sulla croce la fine più
brutta, quella di un criminale».
Il Natale viene spesso presentato come fiaba
zuccherosa. Ma Dio nasce in un mondo dove c'è anche tanta sofferenza e miseria.
«Quello che leggiamo nei Vangeli è un annuncio di
gioia. Gli evangelisti hanno descritto una gioia. Non si fanno considerazioni
sul mondo ingiusto, su come faccia Dio a nascere in un mondo così. Tutto questo
è il frutto di una nostra contemplazione: i poveri, il bambino che deve nascere
nella precarietà. Il Natale non è stata la denuncia dell'ingiustizia sociale,
della povertà, ma è stato un annuncio di gioia. Tutto il resto sono conseguenze
che noi traiamo. Alcune giuste, altre meno giuste, altre ancora ideologizzate.
Il Natale è gioia, gioia religiosa, gioia di Dio, interiore, di luce, di pace.
Quando non si ha la capacità o si è in una situazione umana che non ti permette
di comprendere questa gioia, si vive la festa con l'allegria mondana. Ma fra la
gioia profonda e l'allegria mondana c'è differenza».
È il suo primo Natale, in un mondo dove non mancano
conflitti e guerre...
«Dio mai dà un dono a chi non è capace di riceverlo.
Se ci offre il dono del Natale è perché tutti abbiamo la capacità di
comprenderlo e riceverlo. Tutti, dal più santo al più peccatore, dal più pulito
al più corrotto. Anche il corrotto ha questa capacità: poverino, ce l'ha magari
un po' arrugginita, ma ce l'ha. Il Natale in questo tempo di conflitti è una
chiamata di Dio, che ci dà questo dono. Vogliamo riceverlo o preferiamo altri
regali? Questo Natale in un mondo travagliato dalle guerre, a me fa pensare
alla pazienza di Dio. La principale virtù di Dio esplicitata nella Bibbia è che
Lui è amore. Lui ci aspetta, mai si stanca di aspettarci. Lui dà il dono e poi
ci aspetta. Questo accade anche nella vita di ciascuno di noi. C'è chi lo
ignora. Ma Dio è paziente e la pace, la serenità della notte di Natale è un
riflesso della pazienza di Dio con noi».
In gennaio saranno cinquant'anni dallo
storico viaggio di Paolo VI in Terra Santa. Lei ci andrà?
«Natale sempre ci fa pensare a Betlemme, e Betlemme è
in un punto preciso, nella Terra Santa dove è vissuto Gesù. Nella notte di
Natale penso soprattutto ai cristiani che vivono lì, a quelli che hanno
difficoltà, ai tanti di loro che hanno dovuto lasciare quella terra per vari
problemi. Ma Betlemme continua a essere Betlemme. Dio è venuto in un punto
determinato, in una terra determinata, è apparsa lì la tenerezza di Dio, la
grazia di Dio. Non possiamo pensare al Natale senza pensare alla Terra Santa.
Cinquant'anni fa Paolo VI ha avuto il coraggio di uscire per andare là, e così
è cominciata l'epoca dei viaggi papali. Anch'io desidero andarci, per
incontrare il mio fratello Bartolomeo, patriarca di Costantinopoli, e con lui
commemorare questo cinquantenario rinnovando l'abbraccio tra Papa Montini e
Atenagora avvenuto a Gerusalemme nel 1964. Ci stiamo preparando».
Lei ha incontrato più volte i bambini gravemente
ammalati. Che cosa può dire davanti a questa sofferenza innocente?
«Un maestro di vita per me è stato Dostoevskij, e quella sua domanda, esplicita
e implicita, ha sempre girato nel mio cuore: perché soffrono i bambini? Non c'è
spiegazione. Mi viene questa immagine: a un certo punto della sua vita il
bambino si "sveglia", non capisce molte cose, si sente minacciato,
comincia a fare domande al papà o alla mamma. È l'età dei "perché".
Ma quando il figlio domanda, poi non ascolta tutto ciò che hai da dire, ti
incalza subito con nuovi "perché?". Quello che cerca, più della
spiegazione, è lo sguardo del papà che dà sicurezza. Davanti a un bambino
sofferente, l'unica preghiera che a me viene è la preghiera del perché. Signore
perché? Lui non mi spiega niente. Ma sento che mi guarda. E così posso dire: Tu
sai il perché, io non lo so e Tu non me lo dici, ma mi guardi e io mi fido di
Te, Signore, mi fido del tuo sguardo».
Parlando della sofferenza dei bambini non si può
dimenticare la tragedia di chi soffre la fame.
«Con il cibo che avanziamo e buttiamo potremmo dar da
mangiare a tantissimi. Se riuscissimo a non sprecare, a riciclare il cibo, la
fame nel mondo diminuirebbe di molto. Mi ha impressionato leggere una
statistica che parla di 10mila bambini morti di fame ogni giorno nel mondo. Ci
sono tanti bambini che piangono perché hanno fame. L'altro giorno all'udienza
del mercoledì, dietro una transenna, c'era una giovane mamma col suo bambino di
pochi mesi. Quando sono passato, il bambino piangeva tanto. La madre lo
accarezzava. Le ho detto: signora, credo che il piccolo abbia fame. Lei ha risposto:
sì sarebbe l'ora... Ho replicato: ma gli dia da mangiare, per favore! Lei aveva
pudore, non voleva allattarlo in pubblico, mentre passava il Papa. Ecco, vorrei
dire lo stesso all'umanità: date da mangiare! Quella donna aveva il latte per
il suo bambino, nel mondo abbiamo sufficiente cibo per sfamare tutti. Se
lavoriamo con le organizzazioni umanitarie e riusciamo a essere tutti d'accordo
nel non sprecare il cibo, facendolo arrivare a chi ne ha bisogno, daremo un
grande contributo per risolvere la tragedia della fame nel mondo. Vorrei
ripetere all'umanità ciò che ho detto a quella mamma: date da mangiare a chi ha
fame! La speranza e la tenerezza del Natale del Signore ci scuotano
dall'indifferenza».
Alcuni brani dell'«Evangelii Gaudium» le hanno
attirato le accuse degli ultra-conservatori americani. Che effetto fa a un Papa
sentirsi definire «marxista»?
«L'ideologia marxista è sbagliata. Ma nella mia vita ho conosciuto tanti
marxisti buoni come persone, e per questo non mi sento offeso». Le parole che
hanno colpito di più sono quelle sull'economia che «uccide»...
«Nell'esortazione non c'è nulla che non si ritrovi nella Dottrina sociale della
Chiesa. Non ho parlato da un punto di vista tecnico, ho cercato di presentare
una fotografia di quanto accade. L'unica citazione specifica è stata per le
teorie della “ricaduta favorevole”, secondo le quali ogni crescita economica,
favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e
inclusione sociale nel mondo. C'era la promessa che quando il bicchiere fosse
stato pieno, sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade
invece che quando è colmo, il bicchiere magicamente s'ingrandisce, e così non
esce mai niente per i poveri. Questo è stato l'unico riferimento a una teoria
specifica. Ripeto, non ho parlato da tecnico, ma secondo la dottrina sociale
della Chiesa. E questo non significa essere marxista».
Lei ha annunciato una «conversione del
papato». Gli incontri con i patriarchi ortodossi le hanno suggerito qualche via
concreta?
«Giovanni Paolo II aveva parlato in modo ancora più
esplicito di una forma di esercizio del primato che si apra ad una situazione
nuova. Ma non solo dal punto di vista dei rapporti ecumenici, anche nei
rapporti con la Curia e con le Chiese locali. In questi primi nove mesi ho
accolto la visita di tanti fratelli ortodossi, Bartolomeo, Hilarion, il teologo
Zizioulas, il copto Tawadros: quest'ultimo è un mistico, entrava in cappella,
si toglieva le scarpe e andava a pregare. Mi sono sentito loro fratello. Hanno
la successione apostolica, li ho ricevuti come fratelli vescovi. È un dolore
non poter ancora celebrare l'eucaristia insieme, ma l'amicizia c'è. Credo che
la strada sia questa: amicizia, lavoro comune, e pregare per l'unità. Ci siamo
benedetti l'un l'altro, un fratello benedice l'altro, un fratello si chiama
Pietro e l'altro si chiama Andrea, Marco, Tommaso...».
L'unità dei cristiani è una priorità per lei?
«Sì, per me l'ecumenismo è prioritario. Oggi esiste
l'ecumenismo del sangue. In alcuni paesi ammazzano i cristiani perché portano
una croce o hanno una Bibbia, e prima di ammazzarli non gli domandano se sono
anglicani, luterani, cattolici o ortodossi. Il sangue è mischiato. Per coloro
che uccidono, siamo cristiani. Uniti nel sangue, anche se tra noi non riusciamo
ancora a fare i passi necessari verso l'unità e forse non è ancora arrivato il
tempo. L'unità è una grazia, che si deve chiedere. Conoscevo ad Amburgo un
parroco che seguiva la causa di beatificazione di un prete cattolico
ghigliottinato dai nazisti perché insegnava il catechismo ai bambini. Dopo di
lui, nella fila dei condannati, c'era un pastore luterano, ucciso per lo stesso
motivo. Il loro sangue si è mescolato. Quel parroco mi raccontava di essere
andato dal vescovo e di avergli detto: "Continuo a seguire la causa, ma di
tutti e due, non solo del cattolico". Questo è l'ecumenismo del sangue.
Esiste anche oggi, basta leggere i giornali. Quelli che ammazzano i cristiani non
ti chiedono la carta d'identità per sapere in quale Chiesa tu sia stato
battezzato. Dobbiamo prendere in considerazione questa realtà».
Nell'esortazione lei ha invitato a scelte pastorali
prudenti e audaci per quanto riguarda i sacramenti. A che cosa si riferiva?
«Quando parlo di prudenza non penso a un atteggiamento
paralizzante, ma a una virtù di chi governa. La prudenza è una virtù di
governo. Anche l'audacia lo è. Si deve governare con audacia e con prudenza. Ho
parlato del battesimo, e della comunione come cibo spirituale per andare
avanti, da considerare un rimedio e non un premio. Alcuni hanno subito pensato
ai sacramenti per i divorziati risposati, ma io non sono sceso in casi
particolari: volevo solo indicare un principio. Dobbiamo cercare di facilitare
la fede delle persone più che controllarla. L'anno scorso in Argentina avevo
denunciato l'atteggiamento di alcuni preti che non battezzavano i figli delle
ragazze madri. È una mentalità ammalata».
E quanto ai divorziati risposati?
«L'esclusione della comunione per i divorziati che
vivono una seconda unione non è una sanzione. È bene ricordarlo. Ma non ho
parlato di questo nell'esortazione».
Ne tratterà il prossimo Sinodo dei vescovi?
«La sinodalità nella Chiesa è importante: del
matrimonio nel suo complesso parleremo nelle riunioni del concistoro in
febbraio. Poi il tema sarà affrontato al Sinodo straordinario dell'ottobre 2014
e ancora durante il Sinodo ordinario dell'anno successivo. In queste sedi tante
cose si approfondiranno e si chiariranno».
Come procede il lavoro dei suoi otto «consiglieri» per
la riforma della Curia?
«Il lavoro è lungo. Chi voleva avanzare proposte o
inviare idee lo ha fatto. Il cardinale Bertello ha raccolto i pareri di tutti i
dicasteri vaticani. Abbiamo ricevuto suggerimenti dai vescovi di tutto il
mondo. Nell'ultima riunione gli otto cardinali hanno detto che siamo arrivati
al momento di avanzare proposte concrete, e nel prossimo incontro, in febbraio,
mi consegneranno i loro primi suggerimenti. Io sono sempre presente agli
incontri, eccetto la mattina del mercoledì per via dell'udienza. Ma non parlo,
ascolto soltanto, e questo mi fa bene. Un cardinale anziano alcuni mesi fa mi
ha detto: "La riforma della Curia lei l'ha già cominciata con la messa
quotidiana a Santa Marta". Questo mi ha fatto pensare: la riforma inizia
sempre con iniziative spirituali e pastorali prima che con cambiamenti
strutturali».
Qual è il giusto rapporto fra la Chiesa e la politica?
«Il rapporto deve essere allo stesso tempo parallelo e
convergente. Parallelo, perché ognuno ha la sua strada e i suoi diversi
compiti. Convergente, soltanto nell'aiutare il popolo. Quando i rapporti
convergono prima, senza il popolo, o infischiandosene del popolo, inizia quel
connubio con il potere politico che finisce per imputridire la Chiesa: gli
affari, i compromessi... Bisogna procedere paralleli, ognuno con il proprio
metodo, i propri compiti, la propria vocazione. Convergenti solo nel bene
comune. La politica è nobile, è una delle forme più alte di carità, come diceva
Paolo VI. La sporchiamo quando la usiamo per gli affari. Anche la relazione fra
Chiesa e potere politico può essere corrotta, se non converge soltanto nel bene
comune».
Posso chiederle se avremo donne cardinale?
«È una battuta uscita non so da dove. Le donne nella
Chiesa devono essere valorizzate, non "clericalizzate". Chi pensa
alle donne cardinale soffre un po' di clericalismo».
Come procede il lavoro di pulizia allo Ior?
«Le commissioni referenti stanno lavorando bene.
Moneyval ci ha dato un report buono, siamo sulla strada giusta. Sul futuro
dello Ior si vedrà. Per esempio, la "banca centrale" del Vaticano
sarebbe l'Apsa. Lo Ior è stato istituito per aiutare le opere di religione,
missioni, le Chiese povere. Poi è diventato come è adesso».
Un anno fa poteva immaginare che il Natale
2013 lo avrebbe celebrato in San Pietro?
«Assolutamente no».
Si aspettava di essere eletto?
«Non me l'aspettavo. Non ho perso la pace mentre
crescevano i voti. Sono rimasto tranquillo. E quella pace c'è ancora adesso, la
considero un dono del Signore. Finito l'ultimo scrutinio, mi hanno portato al
centro della Sistina e mi è stato chiesto se accettavo. Ho risposto di sì, ho
detto che mi sarei chiamato Francesco. Soltanto allora mi sono allontanato. Mi
hanno portato nella stanza adiacente per cambiarmi l'abito. Poi, poco prima di
affacciarmi, mi sono inginocchiato a pregare per qualche minuto insieme ai
cardinali Vallini e Hummes nella cappella Paolina».